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Julius Evola - Cavalcare la Tigre

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Edizioni Mediterranee, Luglio 2009, P.232

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Julius Evola tratta in quest'opera del problema dei comportamenti che per un tipo umano differenziato si addicono in un'epoca di dissoluzione, come l'attuale. E "orientamenti esistenziali per un'epoca di dissoluzione" è il sottotitolo esplicativo che l'Autore stesso dettava per la prima edizione del 1961.Il libro, però, venne pensato all'inizio degli Anni Cinquanta - per poi essere adattato allo svilupparsi della situazione contingente una decina d'anni dopo - insieme a Gli uomini e le rovine, che uscì nel 1953. I due saggi, dunque, non devono essere considerati in contrapposizione, ma viceversa come complementari. Per essi è possibile adottare la definizione che Evola diede per i suoi due libri sulla sapienza orientale. Lo yoga della potenza e La dottrina del risveglio: così, Gli uomini e le rovine è, analogamente al primo, l'indicazione della "via umida", cioè della affermazione e della realizzazione in atto; Cavalcare la tigre illustra come il secondo la "via secca", cioè quella intellettuale, interiore, personale. Partendo da una decisa opposizione a tutto ciò che è residuale civiltà e cultura borghese, viene cercato un senso dell'esistenza di là del punto-zero dei valori, del nichilismo, del mondo dove "Dio è morto". Il detto orientale "cavalcare la tigre" vale per il non farsi travolgere e annientare da quanto non si può controllare direttamente, mentre è possibile così evitarne gli aspetti negativi e forse anche ipotizzare una possibilità di indirizzo: esso quindi comporta l'assumere anche i processi più estremi e spesso irreversibili in corso per farli agire nel senso di una liberazione, anziché - come per la grande maggioranza dei nostri contemporanei - in quello di una distruzione spirituale. L'esame si applica ai domini più vari del costume, della cultura e dell'esistenza di oggi, fino a musica modernissima, jazz, sesso, droghe, ecc., e si conclude col problema del diritto sulla vita e sulla morte. Un aspetto particolare, nel libro, è l'indicazione del contributo che principi e esperienze di antiche "dottrine interne" possono dare per portarsi oltre le limitazioni e gli errori di certi orientamenti recenti, quali il nietzschianesimo, l'esistenzialismo, il nuovo realismo, integrandone gli elementi validi di una visione generale della vita. Cavalcare la tigre può dunque venire considerato, come scrive Stefano Zecchi nel suo saggio introduttivo, quasi uno speciale "manuale di sopravvivenza" per tutti coloro i quali, considerandosi in qualche modo ancora spiritualmente collegati al mondo della Tradizione, sono costretti però a vivere nel mondo moderno. Per essi Evola propone una filosofia della responsabilità che tende attivamente a superare il nichilismo e il post-nichilismo. Un libro complesso, fra i più importanti del suo autore, che durante gli anni della "contestazione" venne contrapposto alle opere di H. Marcuse. Un libro spesso anche oggetto di equivoci e fraintendimenti di due generi opposti: da un lato accusato di aver indotto molti a chiudersi in una "torre d'avorio"; dall'altro, viceversa, di aver spinto altri ad una lotta concreta e violenta. Al contrario, l'insegnamento evoliano è ben diverso, e non ha nulla a che vedere né con l'uno né con l'altro atteggiamento.

Julius Evola (19 maggio 1898 - 11 giugno 1974), nasce a Roma da famiglia siciliana di nobili origini. Formatosi sulle opere di Nietzsche, Michelstaedter e Weininger, partecipa alla prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria. L’esperienza artistica lo avvicina a Papini e a Marinetti, a Balla e a Bragaglia, ma è l’incontro epistolare con Tzara che lo impone come principale esponente di Dada in Italia: dipinge ed espone i suoi quadri a Roma e a Berlino, collabora alle riviste Bleu e Noi, elabora testi teorici (Arte astratta, 1920, definito da M. Cacciari “uno degli scritti filosoficamente pregnanti delle avanguardie europee”); scrive poemi e poesie (La parole obscure du paysage intérieur, 1921).

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