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Julius Evola - La Dottrina del Risveglio

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Edizioni Mediterranee, Gennaio 1995, pp. 280

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Nella Dottrina del Risveglio Julius Evola si propone di mettere in luce la natura vera del buddhismo delle origini, dottrina che doveva sfaldarsi fino all’inverosimile nella gran parte delle forme successive, quando, per via della sua divulgazione e diffusione, essa divenne più o meno una religione. In realtà, il nucleo essenziale dell’insegnamento aveva avuto un carattere metafisico e iniziatico. L’interpretazione del buddhismo come una mera morale avente per fondo la compassione, l’umanitarismo, la fuga della vita perché “la vita è dolore”, è quanto mai estrinseca, profana e superficiale. Il buddhismo è stato invece determinato da una volontà dell’incondizionato affermatasi nella forma più radicale, dalla ricerca di ciò che sovrasta sia la vita che la morte. Non è tanto il “dolore” che si vuole superare quanto l’agitazione e la contingenza di ogni esistenza condizionata, le quali hanno per origine, radice e fondo la brama, una sete che per la sua stessa natura non si potrà mai spegnere nella vita comune, una intossicazione o “mania”, una “ignoranza”, l’accecamento che spinge verso un disperato, ebbro e cupido identificarsi dall’Io con l’una o l’altra forma del mondo caduco nella corrente eterna del divenire, del samsâra. L’Autore si occupa soprattutto del lato pratico, dell’”ascesi” del buddhismo, con una esposizione sistematica basata direttamente sui testi. Lo stesso Buddha infatti si presenta come un uomo il quale si è aperta la via da sé, con le sue sole forze, come “combattente asceta”, anche se poi egli ha costituito il punto di partenza di una catena di maestri e di corrispondenti influenze spirituali. Il lato importante del buddhismo delle origini è pertanto l’esigenza pratica, il primato dell’azione e l’avversione per ogni vano speculare.


Julius Evola (19 maggio 1898 - 11 giugno 1974), nasce a Roma da famiglia siciliana di nobili origini. Formatosi sulle opere di Nietzsche, Michelstaedter e Weininger, partecipa alla prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria. L’esperienza artistica lo avvicina a Papini e a Marinetti, a Balla e a Bragaglia, ma è l’incontro epistolare con Tzara che lo impone come principale esponente di Dada in Italia: dipinge ed espone i suoi quadri a Roma e a Berlino, collabora alle riviste Bleu e Noi, elabora testi teorici (Arte astratta, 1920, definito da M. Cacciari “uno degli scritti filosoficamente pregnanti delle avanguardie europee”); scrive poemi e poesie (La parole obscure du paysage intérieur, 1921).

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