Giorgio Samorini - Droghe tribali

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Shake Edizioni, pp. 112

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Cibi divini, alimenti per l'anima o strumenti visionari per il contatto col mondo sovrannaturale? Queste sono alcune delle principali ragioni per le quali le popolazioni tribali assumono droghe, attraverso l’ingestione di centinaia di formiche rigorosamente vive, lo scorticamento di parti di pelle per assorbirne gli effetti attraverso la ferita, la golosa ricerca di putrefazioni cadaveriche umane o l'istillazione negli occhi di corrosivo succo di millepiedi. Nonostante l'apparente irrazionalità, c'è tanto significato, umanità ed emozione in questi comportamenti estremi. Nella cultura occidentale si continua a vedere le droghe come una forma di fuga dalla realtà. Nel mondo tradizionale – ma anche in alcuni ambiti del mondo moderno occidentale - il suo uso invece è ampiamente dettato da motivazioni differenti, spesse volte con l'opposto intento di “vedere meglio la realtà”: come negli scopi spirituali-religiosi, sciamanico-terapeutici, magico-divinatori, iniziatico-pedagogici, come correttivi del carattere, per scopi giudiziari, o come viatici pre-morte. Un libro che parla di pratiche estreme, che spaziano dal mito alle popolazioni tribali, in una panoramica di grande suggestione antropologica. Un libro affascinante che restituisce alle droghe un ruolo e una funzione sociale per noi inedita.

Giorgio Samorini (Bologna 1957) è un etnobotanico specializzato sulle piante psicoattive e studioso di storia delle droghe. Ha diretto progetti di ricerca sulle smart-drugs, è formatore nell'ambito dei Servizi per le Tossicodipendenze, ha pubblicato numerosi scritti in riviste scientifiche e diversi libri, tra cui "Funghi allucinogeni", "Piante psicoattive. Studi etnobotanici", "Jurema, la pianta della visione".

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