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Farid Ad-Din Attar - La Lingua degli Uccelli

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Il Classico della Letteratura Sufi

Mediterranee, Novembre 2002, pp. 227

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L'opera si configura come una sorta di magistrale favola esoterica che ha per oggetto il tema del viaggio, al tempo metaforico e reale, che l'anima intraprende perché si distacca dal mondo transeunte della materialità per tuffarsi nell'oceano senza rive del mistero divino. La lingua degli uccelli – il cui titolo originale è Mantiq al-Tayr – è una summa del migliore e più raffinato misticismo islamico e insieme un messaggio universale di apertura al trascendente. L'opera – che è un classico nel suo genere – si configura come una sorta di magistrale «favola esoterica», che ha per oggetto il tema del «viaggio», al tempo metaforico e reale, che l'anima intraprende perché si distacca dal mondo transeunte della materialità per tuffarsi nell'oceano senza rive del mistero divino. Protagonista un gruppo di volatili (l'upupa, il pappagallo, il falco, il pavone, ecc.) che, riunitisi a convegno, spiccano il volo alla volta del loro bramato sovrano, il Simorgh (o «Fenice») della mitologia iranica, posto agli estremi limiti della terra conosciuta. Per raggiungerlo, dovranno, tra molti pericoli, attraversare «sette valli», che rappresentano altrettante «tappe» o «stazioni» di un vero e proprio itinerario iniziatico, che si ammanta di simboli universali, suscettibili di interpretazioni plurime. Dei centomila uccelli avventuratisi alla ricerca del loro Signore, a non più di «trenta» (in persiano: si morgh) sarà però dato il privilegio di raggiungere la tanto agognata meta. Questi, difatti, finiranno per specchiarsi nel volto accecante del Re, alla vista del quale, inceneriti, scopriranno – paradossalmente – di essere tornati al punto di partenza.



Sommo vate e maestro di quella corrente speculativa che va sotto il nome di sufismo (tasawwuf). La sua vita è per lo più avvolta da un velo di mistero: di lui al di là delle pie leggende successivamente fioritegli attorno, non conosciamo che scarne notizie. Figlio di uno speziale ('attar) nacque (in una data imprecisata) tra la seconda e la quarta decade del XII secolo, nella città di Nishapur (nell'Iran nord-occidentale). Frutto di una limpida esperienza mistica, improntata a una visione interiore spiritualizzata dell'Islam, la sua ingente produzione, in prosa e in poesia, è unanimemente considerata tra le più significative e struggenti dell'intera storia della letteratura persiana medievale. Sempre a Nishapur, in un periodo che si colloca tra il 1230 e il 1234, cadde vittima – secondo quanto si tramanda – di una scorribanda mongola, che mise a ferro e fuoco la città.

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