Gli Shipibo Conibo, l’Ayahuasca e le Plantalàmparas
Gli Shipibo Conibo sono un’etnia che vive nella regione Ucayali, nella foresta centrale peruviana. Sono una delle poche etnie ancora esistenti che hanno un legame profondo con le piante maestre, in particolare l’Ayahuasca, rapporto che permea tutti gli aspetti della loro vita, dalla salute alle relazioni, dall’artigianato alle pratiche quotidiane di vita comunitaria. Non sono ancora andata in Perù, però a Spazio Nagual ho scoperto i loro meravigliosi manti, stoffe ricamate a mano con gli intrecci suggeritigli dall’Ayahuasca stessa durante le cerimonie. Guardando gli intricati ricami di questa tribù, ho cercato di entrare nel loro tessuto, negli intrecci non solo materiali ma anche e soprattutto culturali e storici, ho preso il computer e ho guardato su internet. Si è aperto come sempre un universo fatto di tanti fili, appunto, che non riguardano solo il semplice artigianato. Grazie all’articolo di un certo Andrea Balice (ma ancora più interessante e dettagliato è l’articolo di Luciano Silva) ho scoperto che quest’etnia versa in condizioni molto difficili, nonostante (o forse proprio per questo!) nel mondo sia una delle poche “illuminate” per quanto riguarda i concetti di vita comunitaria, rispetto della Pacha Mama e simbiosi uomo/natura, sostenibilità ambientale e consapevolezza di altri mondi. Chiaramente le difficoltà sono legate a un fattore economico, essendo la loro terra ricca di legname ma soprattutto e principalmente di petrolio. Da un lato quindi si cerca di sfruttare le loro terre, dall’altro li si porta a vivere in condizioni di povertà sempre più insostenibili. Il loro artigianato attira i turisti, alcuni comprendono che la loro produzione è fortemente legata alle comunicazioni con la Natura e in particolare con le piante maestre, altri guardano con stupore occidentale senza capirci un’accidente. La verità è che le cerimonie con le piante sacre, gli sciamani, gli artigiani e artigiane shipibo conibo e la natura che li circonda fanno parte tutti di un solo unico filo.
Ecco quello che ci racconta un’antropologa di nome Luisa Belaunde: «La bellezza secondo il pensiero shipibo-konibo si nota a fior di pelle. Le persone, o le cose, sono belle quando hanno il Kené, ossia quando hanno il corpo coperto da una rete di segni geometrici che avvolgono la pelle con linee rette e curve, circuiti di energia che creano una nuova pelle fatta di luce e colore. L’arte del Kené appartiene tradizionalmente alle donne, che secondo la Cosmologia, impararono a fare i disegni copiandoli dal corpo di una donna Inka proveniente dall’eterno mondo del fuoco del sole, che attraversò il fiume che separa gli immortali dai mortali. Ella aveva sulla pelle i disegni dell’anaconda, la potente proprietaria cosmica dei fiumi e dell’arcobaleno che rappresenta il cammino che unisce l’acqua al sole. Secondo il pensiero shipibo-konibo, i disegni di tutto ció che esiste hanno origine nelle forme della pelle dell’anaconda primordiale; per questo , per poter vedere e fare i disegni è necessario consumare le piante che manifestano il potere dell’anaconda come il Piripiri e l’Ayahuasca». E conclude così: «Il Kené è l’unione dell’estetica con la medicina, del materiale con l’immateriale, del femminile con il maschile. Vedere e disegnare il Kené equivale a mimetizzarsi con l’energia delle piante che hanno in sé il potere generativo dell’anaconda primordiale. Tutte le forme visuali, olfattive, sonore e tattili del disegno shipibo-konibo sono una celebrazione alla bellezza dell’anaconda e richiamano all’Inka eterno che risplende luminoso nel cielo».
L’articolo di Balice invece si chiude con un quadro della situazione abbastanza sconfortante: «Ad oggi alla situazione di estrema povertà in cui questo popolo vive da alcuni decenni si sommano l’influenza delle varie congregazioni religiose evangeliche e protestanti che pretendono di convertire la popolazione allontanandola dalle proprie tradizioni originarie e soprattutto la minaccia delle grandi multinazionali petrolifere, interessate a questa zona ricca di petrolio ed infine la distruzione ambientale generata dal commercio illegale del legno. Molti giovani cercano fortuna emigrando nella capitale, Lima, lasciando la propria casa e le proprie terra in cambio di una vita fatta di miserie e stenti».
Ho continuato a navigare in questo mare infinito, nel quale mi barcamenavo tra meraviglia, voglia di volare in Perù, amore per quel che di bello ancora rimane sulla Terra e rabbia per un sistema che sta fagocitando tutto, e ho incontrato alla fine una notizia che non so dire se sia buona o cattiva, preferisco uscire dal dualismo e affermare che mi è parsa buona e cattiva allo stesso tempo. Un team di giovani ingegneri peruviani ha dotato finalmente gli Shipibo Conibo di energia elettrica, con un progetto che rispetta la natura e si sviluppa attraverso le piante, creando appunto le “plantalàmparas”: le piante della luce. «Si tratta di una specie di vaso contenente terra e sementi, che poi germogliano in piante, grazie alle quali viene prodotta energia elettrica che aziona una lampada connessa. Il congegno funziona grazie alla luce solare, che permette la fotosintesi clorofilliana. Durante la fotosintesi, le radici della piantina rilasciano alcuni residui salini che a contatto con i microorganismi presenti nella terra producono elettroni. Gli elettroni vengono attratti e raccolti da celle nella pedana della Plantalàmpara, formando così un flusso di corrente che ricarica una batteria in grado di accendere una lampadina LED di circa 50 Watts».
Chi può dire con assoluta certezza che l’energia elettrica sia un giovamento per l’etnia Shipibo Conibo? Potrebbe essere un elemento dissonante nel rapporto naturale e interiore che essi hanno con Madre Natura, nell’abitudine di utilizzare la luce del sole per le loro attività e riposare quando si fa buio, un elemento di disturbo nelle loro percezioni sensoriali...
Dopo tutto questo, in preda a emozioni di ogni tipo e colore, ho preso tra le mani un manto shipibo e non è stato più come prima, non ho visto semplicemente la forza della maestria e della cultura di un popolo, le visioni da ayahuasca o la totale connessione con la natura, ma anche tutto il resto, le difficoltà, il dolore, la pacata e pacifica accettazione di un destino al quale resistere è fare il suo gioco, la saggezza di un grande popolo, di una profonda etnia che sta scomparendo e dalla quale potremmo, noi occidentali pigri e depressi, imparare a non fare più danni alla Pacha Mama, a non produrre più oggetti che non ci servono, a tornare alla Natura, che tutto fornisce, senza chiedere nulla in cambio, a liberarci dalle leggi di mercato che non corrispondono alla nostra natura, a svuotare le città insalubri e tornare a popolare i boschi... Va bene, sto andando troppo oltre, ma provate voi a prendere un manto shipibo, chiudendo gli occhi, e a non vedere TUTTO questo, a restare indifferenti, apatici, resistenti. Non è possibile, lui vi avvolgerà con una forza e una determinazione che noi abbiamo dimenticato, ma che è qui, si può ricontattare, ritrovare e riabbracciare, come un caro amico che non vediamo da tanto tempo ma nel rivederlo è come se ci si fosse salutati appena ieri.
Silvia Tusi@Nagual
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